Stalking sul posto di lavoro; il datore che acuisce ansia e timore può essere condannato
Il tratto che caratterizza il mobbing è rappresentato dal fatto che i comportamenti vessatori, rivolti nei confronti del lavoratore, sono reiterati, duraturi e finalizzati a lederne l’integrità psicofisica o ad estrometterlo dall’azienda o dall’ente in cui svolge la propria attività lavorativa.
Il mobbing non è considerato un istituto di diritto penale, perché non è presente all’interno del codice penale un articolo che lo disciplina.
Una sentenza che “apre la strada a una più efficace repressione di comportamenti vessatori che si protraggono ben oltre l’ambiente lavorativo”. La Corte ha, infatti, sottolineato che “il mobbing, quando esercitato con modalità vessatorie reiterate e idonee a determinare un perdurante stato di ansia o di timore nella vittima, può essere ricondotto alla fattispecie dello stalking“.
Il caso specifico – che ha portato a questa conclusione – riguarda un docente universitario accusato di una serie di reati, tra cui molestie sessuali nei confronti delle studentesse e abuso di autorità. Le azioni del docente, essendo state condotte in modo prolungato, hanno non solo configurato una situazione di mobbing, ma sono state considerate a tutti gli effetti come stalking in ambito lavorativo, fenomeno altrimenti noto come stalking occupazionale.
Quindi, è emerso che i comportamenti vessatori, posti in essere dal docente universitario indagato, hanno generato un ambiente di lavoro ostile e insostenibile. Tra le condotte denunciate e riscontrate in giudizio figurano la marginalizzazione professionale e l’adozione di atteggiamenti intimidatori e persecutori nei confronti degli specializzandi dissidenti.
La Cassazione ha evidenziato come tali comportamenti abbiano “superato il livello di ordinaria conflittualità presente in un ambiente di lavoro” e si siano concretizzate in un “accanimento psicologico” ai danni delle vittime tale da configurare, per l’appunto, gli estremi dello stalking occupazionale.